Il mito dell’Arte Africana nel ‘900 a Trieste

L’Arte africana e la sua influenza sugli artisti più famosi del ‘900 europeo e nord-americano è quanto permette di scoprire la mostra Il mito dell’Arte Africana nel ‘900 esposta a Trieste al Porto Vecchio. Comprende oltre 100 opere scultoree provenienti da diversi Paesi dell’Africa sub-sahariana, che ci immergono nella realtà colorata e sfaccettata delle culture tradizionali dell’Africa.

Allestita nella sala Carlo Sbisà del Magazzino 26, nuova sede espositiva a Trieste, la mostra “Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900” immerge il visitatore, fin dai primi passi, in atmosfere lontane per distanza fisica e culturale. Insieme lo induce a riflettere su quanto l’Arte europea e nord-americana del Novecento, nelle figure dei suoi più grandi rappresentanti, da Matisse a Picasso, a Calder e Man Ray, sia in debito con l’iconografia tradizionale delle società africane.

Il percorso è, nella sua prima parte, un vero e proprio tuffo nel mondo tribale, attraverso l’osservazione degli aspetti più significativi che lo caratterizzano. Le sale ci guidano progressivamente all’esame dei manufatti legati ora alla fertilità e alla maternità e al culto dei gemelli. Ci introducono poi al mondo delle maschere quali strumenti di culto, all’importanza degli antenati, alle figure magiche, all’arte funeraria e a una varia oggettistica di uso pratico, ma a forte valenza simbolica di status sociale.

Le opere esposte provengono tutte dalla collezione, realizzata in oltre trent’anni di attività, dei curatori della mostra, Anna Alberghina e Bruno Albertino, viaggiatori e instancabili collezionisti, fotografi e studiosi del mondo africano.

Nella seconda sezione, affiancate ai “modelli” da cui fu tratta ispirazione, sono numerose opere grafiche e scultoree di artisti famosi: Picasso, le cui “Demoiselles d’Avignon” evocano, nei loro volti, le maschere tradizionali gabonesi, nigeriane e ivoriane; Calder, nelle cui silhouettes colorate sono immediatamente riconoscibili i profili della tradizione iconografica burkinabé; Basquiat, che esprime, nella decorazione ceramica, una sincera ispirazione etnica, fino a Salvador Dalí, che, in anni più recenti, stilizza un elefante in bronzo e cristallo di rocca, richiamando le sculture in materiali compositi caratteristiche della Nigeria, del Congo e della Costa d’Avorio o Marco Lodola, che utilizza plexiglas ed effetti luminosi per dare vita a una personale, attualissima, versione delle maschere sacre.

Gli elementi-chiave di questa lunga ondata di interesse – che permane tutt’oggi – si possono identificare, in modo particolare, nella finezza della realizzazione delle opere tribali e nella loro capacità di sintesi e immediatezza comunicativa, ottenute attraverso una forte stilizzazione dei soggetti rappresentati.

Il Cubismo e molte correnti artistiche ad esso coeve traggono linfa e ispirazione dall’arte africana che, all’inizio del ‘900, richiama l’attenzione di mercanti e galleristi – tra i più importanti, Paul Guillaume, Charles Ratton e Joseph Brummer – e anima il mondo artistico parigino dell’epoca.

A contribuire all’interesse crescente e al successo delle sculture tribali, anche Gauguin, Braque e Lothe che, acquistandone con entusiasmo, danno inizio alle grandi collezioni di genere, che troveranno nello scultore americano Jacob Epstein un nuovo entusiasta promotore oltre oceano.

«Partendo dalle esperienze picassiane – commenta il curatore Vincenzo Sanfo – questa mostra ci porta sino ai giorni nostri, attraversando percorsi che hanno in comune una visione dell’arte che trae dall’essenzialità delle forme africane ispirazione, generando i papier-decoupe matissiani, le decorazioni tribali di Keith Haring, le surreali visioni di Man Ray, le gioiose figure di Calder accostate alla furia costruttiva di Basquiat. Cosi come le irriverenti maschere di Enrico Baj, le luminose visioni di Marco Lodola e le incursioni di Marco Nereo Rotelli, accompagnate dalla cancellazione picassiana del cinese Xu Deqi. Un percorso, quello pensato per questa mostra, essenziale ma esaustivo di quanto l’arte africana abbia contribuito e continui a contribuire all’evoluzione dell’arte occidentale».

La mostra “Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900”, con sottotitolo “Da Picasso a Man Ray – Da Calder a Basquiat e Matisse” inaugurata il 25 marzo è aperta fino al 30 luglio 2023. Curata da Anna Alberghina, Bruno Albertino e Vincenzo Sanfo, con la collaborazione di Stefano Oliviero, è ospitata nei locali del Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste, in un’area di recente riqualificazione a destinazione culturale. E’ prodotta da Navigare in co-produzione con Diffusione e Cultura e promossa dal Comune di Trieste con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau e PromoTurismoFvg.

È aperta dalle ore 10 con chiusura alle ore 18 da martedì a venerdì e alle ore 20 sabato, domenica e festivi. Chiusura lunedì.

(Qui una foto di Man Ray, dalla mostra “Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900 – Da Picasso a Man Ray – Da Calder a Basquiat e Matisse”)