Chiusure e ricordi teatrali

Questi sono ricordi personali (ma non solo). Nascono all’annuncio di chiusure teatrali. All’annuncio della chiusura a fine anno a Milano del Teatro i (e non solo). Teatro off, piccola sala e per questo molto duttile (anche nelle proposte). Qui nel 2013 avevo visto un fantastico Lotta di negri e cani di Bernard-Marie Koltès: il pubblico sui quattro lati della sala, in alto, intorno. Impossibile scappare. Obbligatorio assistere impotenti all’azione, la violenza, l’incapacità di capire e di capirsi. Aldisotto, al centro, gli attori. Come un ring: fantastico e particolarmente adatto alla pièce. Non solo nuovi, ormai grandi classici: anche inedite novità, come Ricettario per un Noir di Alma Rosé. E riduzioni da libri che parlano di problemi di oggi: Trainspotting, Entrambi al Teatro i, rimasti nella memoria dal 2018. Ma questa è storia recente.

Non è invece recente: è storico il passato del Teatro Nuovo al centro di Milano. Grande, storico teatro, maestoso con la doppia scalinata, il doppio foyer, il doppio bar, il doppio guardaroba, la doppia barcaccia e un piccolo spazio per consentire alle spettatrici di sistemarsi il trucco. Ai lati della sala e delle file di poltrone c’erano gli strapuntini. Li ho visti occupare. Altri tempi.

Ero al debutto di Grease con la Cuccarini e Ingrassia. Era marzo del 1997 e un altro spettacolo avrebbe dovuto chiudere la stagione: non andò in scena. Grease è stata la prima grande tenitura di un musical, oltretutto in italiano.

Al Nuovo ho visto Mastroianni in scena in Le ultime Lune, pochi giorni prima della morte nel 1996. Molti anni dopo qui ho visto, tra i brividi del pubblico che mi attorniava, l’Esorcista. Bei momenti, momenti recenti, ultimi momenti, perché anche il Nuovo è prossimo alla chiusura.

Nel foyer del Teatro Nuovo incontravi gli spettatori, potevi chiacchierare con Franco Ghizzo del cavallo che avrebbe voluto portare in scena nel Cyrano. E quando lui è mancato ad accogliere me, come tutti gli spettatori, erano la moglie Gemma e la figlia Monica. Ma questi sono proprio ricordi personali.

Se per il Nuovo sembra giusto l’aggettivo “maestoso”, per il Teatro Libero non si può che parlare di spazio insolito, in una delle zone delle sere milanesi. Era al terzo piano, da raggiungere con l’ascensore, ma all’uscita bisognava scendere le scale, perché era pur sempre un condominio. Qui nel 1994 ho visto Raf Vallone in Desiderio sotto gli olmi di O’ Neill. Fantastico. Altro gran bel momento. Bello nel ricordo e bello allora: unica standing ovation vista al Libero. Qui ho visto in scena Corrado d’Elia in Cirano e molto altro, un inquietante Assassine, altro brivido, ma altro piacere teatrale. Qui ho visto Ghiaccio: per la prima volta Shackleton riprendeva vita e con lui il suo grande senso di responsabilità. Ancora qui, una domenica, è capitato di veder telefonare all’attore ricordandogli che era atteso a teatro per la pomeridiana. Ma anche questo è un ricordo personale e pure molto lontano.

Chiusure, dicevo all’inizio. Chiusure di teatri che, sia pure in modo diverso, sono stati parte della storia dello spettacolo dal vivo a Milano (per non parlare della chiusura di tanti teatri in tempi più lontani). Logico porsi qualche domanda. Siamo sicuri che la chiusura di uno, più teatri non sia un attentato alla nostra felicità? Siamo sicuri di preferire un piatto di prestigiosa carissima carne alla possibilità di sognare e vivere storie e mondi tutti da scoprire? Vogliamo rinunciare alla possibilità di sentire colori, vedere voci, perché le nostre abitudini sono state ribaltate? Siamo sicuri di non voler fare nulla?

Questo pezzo, con questi ricordi, esce il lunedì, tradizionale giorno di chiusura dei teatri. Ma quelle di cui avete letto sopra non sono chiusure settimanali. Purtroppo. Per fortuna, però, in questi ultimi anni sono nati dei piccoli spazi animati dalla passione di giovani attrici, che credono nella forza rivitalizzante del teatro. E sono convinte che questo non deve spegnersi. Ugualmente sono stati rivitalizzati dei teatri che vantavano una storia. Per fortuna nascono voci nuove. Altre si potenziano (ma non si aggiungono).