Kentridge e Oh To Believe in Another World

Concerto illustrato da un film? Sì, ma no. Proiezione cinematografica con sinfonia come colonna sonora? Sì, ma no. Performance d’arte che mescola le forme espressive? Sì, ma no. William Kentridge, riconosciuto e affermato artista transnazionale, maestro dell’immagine in movimento, arriva al Teatro Grande di Pompei con un esperimento che sfugge a ogni definizione. Con Oh To Believe in Another World (che ruba il titolo a un verso di Majakovskij) si lega alla Luzerner Sinfonieorchester per proporre in modo del tutto originale una lettura visivo-sonora della Sinfonia n. 10 di Dmitrij Šostakovič, facendo dell’appuntamento con lui l’evento internazionale di punta del programma della quinta edizione del Pompeii Theatrum Mundi, con approdo nella rassegna campana ad appena due settimane dal debutto assoluto al KKL di Lucerna. Tra l’altro è da sottolineare come la genesi del progetto sia nata proprio da queste parti, quando qualche anno fa il manager dell’orchestra svizzera, Numa Bischof Ullmann, divenne primo sostenitore dei lavori dell’artista sudafricano creati in collaborazione con la gallerista Lia Rumma per il napoletano Palazzo Donn’Anna.

L’interesse di Kentridge non può che essere partito dalla complessa e controversa interpretazione della Sinfonia n. 10, letta da più parti come la resa dei conti del musicista con le direttive del regime del terrore stalinista, che si riflettevano anche sui temi della funzione dell’arte, direttive che accusarono di formalismo molte partiture di Šostakovič soprattutto nel genere sinfonico. La data della prima esecuzione è in effetti il 17 dicembre 1953, ad opera dell’Orchestra filarmonica di San Pietroburgo, a meno di un anno dalla morte del dittatore. Stando alle dichiarazioni del compositore venne scritta tra il luglio e l’ottobre ’53, ma ci sono testimonianze che ne anticipano la stesura già al ’51 (gli anni più bui del regime), mentre reperti bibliografici ne confermerebbero i primi abbozzi addirittura al ’46. Resta il fatto che molteplici si confermano le chiavi di lettura, più o meno legittime o autorizzate, alla sinfonia n.10 di Šostakovič, organizzata in 4 differenti movimenti caratterizzati ripetutamente dalla firma in codice musicale Re–Mi bemolle– Do–Si ovvero D.SCH (iniziali in trascrizione tedesca del nominativo Dmitrij Shostakovich). Nel primo movimento, Moderato, il più lento e più esteso, svolto in forma di sonata, viene sviluppato il tema dell’identità personale (poi riproposto anche nel terzo e quarto movimento). Il secondo movimento, l’Allegro, rimane il più controverso e vive delle parole lasciate scritte dal compositore nel volume Testimonianza dove affermava “Ho rappresentato Stalin nella mia Sinfonia Decima… La seconda parte, lo scherzo, è grosso modo un ritratto musicale di Stalin. Naturalmente contiene molte altre cose, ma questo ne costituisce la base”. Anche il terzo movimento, il notturno Allegretto-Largo, va letto attraverso una chiave. Si articola attorno a due crittogrammi musicali, il già citato D.SCH in dialogo con una combinazione di note che nel sistema francese e tedesco compongono la parola ELa-Mi-Re-A in riferimento al nome Elmira di Elmira Nazirova, allieva e all’epoca amante e ispiratrice del musicista. Nel corso del movimento, i temi D.SCH ed Elmira si alternano e progressivamente si allacciano. Il quarto movimento inizia come Andante per svoltare bruscamente in un Allegro e chiudersi con una coda che salta un’ottava da un Mi al Mi successivo. Ovviamente l’insieme di tante differenti suggestioni non potevano restare estranee all’ispirazione di Kentridge che si è visto di fronte la possibilità di trattare insieme eventi storici, istanze artistiche, rivoluzioni avanguardistiche, sentimenti personali, personaggi iconici, intrighi amorosi legittimi e no, parabole umane contrapposte e logiche politiche. Mai didascalico o storicistico ha scandito la propria creazione visiva in quattro capitoli, uno per decennio, uno per ciascun movimento della sinfonia, ciascuno segnato dalla morte di un personaggio emblematico: Lenin negli anni ‘20, Majakovskij nei ‘30, Trockij nei ’40, Stalin nei ’50. Kentridge ha operato partendo da un modellino che riproduce una sorta di assurdo museo sovietico disabitato e sperduto, dove è raccolto ciò che è sopravvissuto della Grande Rivoluzione Socialista, con riferimento più alle idee e alle tracce storiche che agli oggetti, suddiviso in spazi diversissimi. Sono presenti anche una piscina pubblica, un teatro e addirittura una cava, mentre lungo un corridoio si aprono vetrine contenenti riproduzioni di personaggi storici. Con una microcamera ha avuto modo di percorrere e filmare i vari ambienti e farli vivere come set per le figure bidimensionali (un po’ marionette, un po’ collage… ma sono veri attori a crearne i movimenti) che ha deciso di far interagire Lenin, Trockij, Stalin, e le coppie Šostakovič – Elmira Nazirova, Majakovskij – Lili Brik (l’amante del poeta morto suicida).

Alle proprie immagini originali Kentridge ha poi sovrapposto e mescolato spezzoni documentari di filmati storici, frammenti graffiati di pellicole mute, didascalie tratte da proclami politici o versi di poemi rivoluzionari, ma non solo. Sempre senza narrazioni documentaristiche i temi dei 4 movimenti della Sinfonia sono visualizzati attraverso evocazioni: il primo, che verte sull’identità, mostra cartelli in cui ci si domanda Come spiegare chi sono stato? o in cui si proclama che L’umanità è un prodotto semilavorato da condurre alla felicità con pugno di ferro. L’Allegro del secondo movimento sciorina masse di popolo ribollenti di utopie, Šostakovič sta al pianoforte e sul podio da direttore d’orchestra brandisce una bacchetta che è insieme una ridicola bandierina rossa. Il terzo movimento mescola le vicende amorose delle coppie e la fine delle autentiche visioni rivoluzionarie con il suicidio di Majakovskij e Stalin che fa cadere con Trockij le teste di tanti altri rivoluzionari, La locomotiva è pronta per il viaggio nel futuro si legge sullo schermo nel cartello, ma sono già parole di sola propaganda. Immagini di ambienti desertificati accompagnano l’inizio dell’ultimo movimento, mentre sulle note dell’Allegro finale sono i cannoni a seppellire beffardamente gli ultimi barbagli dell’utopia. Kentridge si chiede e ci chiede tra infinita ironia e grande serietà se sia questa la fine d’ogni rivoluzione, se una ripartenza da uno stato zero sia davvero possibile per l’uomo, se la sua stessa spinta creativa sia destinata a soccombere e al fallimento proprio nel momento in cui si propone come spinta creativa.

Nel monumentale ambiente antico del Teatro Grande di Pompei in una serena serata di fine giugno al tramonto, l’ingresso e il posizionamento sul tappeto nero che ricopre l’intera orchestra degli 80 e più musicisti della Luzerner Sinfonieorchester è già di per sé uno spettacolo impressionante. L’esecuzione della sinfonia sotto la direzione di Michael Sanderling risulta estremamente vivida e partecipata, esalta al massimo i fraseggi tra i vari gruppi degli archi e mette in risalto sia i momenti più intimi degli assoli che la potenza espressiva delle pagine più trascinanti, senza mai perdere in tensione emotiva o sospensione dell’attenzione. Tanto che si resta costantemente incerti se concentrarsi sullo scorrimento delle immagini con un’inevitabile distrazione dalla musica o lasciarsi andare all’incantesimo del concerto a discapito del flusso visivo sullo schermo. Più piacere all’occhio o all’udito? Mi si permetta di non rivelare la mia scelta, ma solo il mio piacere.

(foto di Ivan Nocera)