Le serve di Jean Genet visto al Teatro Factory32

Loro la chiamano la cerimonia. E’ un rito sempre uguale quello che è al centro di Le serve di Jean Genet. Si ripete ogni giorno, proprio come la musica ossessivamente inquietante e ripetitiva ci aveva anticipato, prima che lo spettacolo iniziasse al Teatro Factory32. Claire e Solange sono in scena: la Signora e la sua serva. Quest’ultima la veste con il suo abito rosso più bello e riempie tutto di fiori. Ma presto si svela l’inganno, perché, in realtà, entrambe le sorelle sono le serve, che, quando la Signora è fuori casa, prendono i suoi abiti, le scarpe bianche lucide e, complici l’una dell’altra, si travestono. Sono come le bambine che giocano a fare le signore. Ed è un gioco che le prende sempre più: accentuano il ritmo, forzano la voce, come in preda a capricci.

Ma nel gioco hanno introdotto una variabile. Perché scrivendo delle lettere anonime sono riuscite a far arrestare l’amante della Signora. Ora il gioco si è fatto pericoloso, perché quello è un arresto di breve durata. Una telefonata annuncia che, in assenza di prove, l’uomo è stato liberato. Lo sanno loro, non la Signora, che quando arriva, ignara di tutto, disperata, favoleggia di seguire l’amante anche in Martinica, se lì verrà deportato.

Non ci potrebbero essere serve senza padrona. Ma nasce anche la voglia di ribaltare la situazione, unita a un tentativo di annientare il dominatore. E’ il ridimensionamento vestendone i panni. Oppure l’uccisione, grazie a una tisana di tiglio. Anche perché il gioco comincia a traballare. Le vostre premure, dice la Signora, non sono mai diventate affetto. I vostri fiori odorano di morte. Voi non ridete mai.

Questa è una storia di reiette, proprio come lo stesso Genet si considerava. Ma soprattutto qui va in scena il gioco del teatro. Come una cerimonia è la messa in scena di un’opera teatrale. Ha i suoi rituali e gli attori impegnati in ruoli che prendono la loro forza e la ragion d’essere dal pubblico, proprio come le serve che tali sono perché c’è la Signora. Così assume un valore anche l’abito da lei indossato. E’ un abito verde, del colore che Artaud considerava il colore del teatro (ma anche della follia). E poi c’è lo specchio, elemento di scenografia: riflette il pubblico prima dell’inizio dello spettacolo. Può moltiplicare gli attori, far immaginare altro, quando il rito, oops, lo spettacolo è iniziato.

Anche la storia a teatro si trasforma. Genet aveva tratto ispirazione da un fatto di sangue del febbraio 1933, che aveva sconvolto la Francia. Una ricca signora e la figlia a Le Mans erano state atrocemente uccise dalle due serve, le sorelle Christine e Léa Papin. Anche le serve di Jean Genet uccidono? Oppure la cerimonia del teatro prevede che la cronaca in scena subisca trasformazioni?

Le serve di Genet è ormai un classico del teatro per tutti i temi che sottintende. E’ anche un testo inquietante, per quella sottile perfidia che sta alla base. Ed è la perfetta chiusura della bella stagione proposta da Valentina Pescetto per il Factory32, il teatro che ha dato concretezza al suo sogno. In attesa della prossima stagione.

Le serve

di Jean Genet

traduzione Giorgio Caproni

con Aurora Marcianò, Miriam Malacarne e Daniela Lerva

regia Francesco Scarpace Marzano

produzione Anime Sceniche

A Milano, al Teatro Factory32 (via Watt 32), 9 e 11 giugno 2023 (venerdì ore 20.00 – domenica ore 17.00 e ore 20.30)