R.A.M. visto al Teatro Franco Parenti | Recensione

2120: quello che R.A.M. ci prospetta ora al Teatro Franco Parenti è un mondo in cui non vorremmo vivere. Ma che è bello vedere in scena. Le invenzioni teatrali sono davvero tante e toccano tutti gli aspetti. Michele Iodice ha realizzato una scenografia utilizzando elementi multipli metallici irregolarmente ondulati, su cui le proiezioni producono immagini distorte e che cambiano colore di continuo, come altre 4 cornici circolari. I momenti fortemente spettacolari si susseguono, continui motivi di attrazione.

Qui si muovono i personaggi non tradizionali, in una storia che affonda in un futuro per nulla auspicabile, dove anche i termini sono tutti da scoprire. Marina Rocco è Cruz Martinez di Caracas, inconsapevole e giustamente spaventata (nella foto). Si sveglia dal suo letto ricoperto d’erba – l’ecologia è futuro -, si nebulizza un antidolorifico dalla azione istantanea e non ha più memoria. Lo ha voluto lei: in cambio di soldi l’ha venduta agli Aumentati, ricchi e senza ricordi e dunque esperienze.

Attorno a lei si muovono altri personaggi sufficientemente ambigui. C’è l’androide di sesta mano, prossima alla rottamazione, ma fidata e che non ruba. Ma è allegramente impicciona (Gianna Coletti). C’è il medico (Giovanni Battista Storti), androide di quarta mano, che punta tutto sulla gentilezza, unica arma che potrebbe aiutare gli umani. Ci sono dei nuovi amici con cui confidarsi, che appaiono in video. C’è la giovane dai capelli blu che la bacia: una volta sola, perché è il primo bacio che si ricorda, non il secondo, dice. E’ Irene Vetere, in tutina rigorosamente blu. E c’è Oliver, che sembra arrivare dal passato (Alberto Onofrietti). Ed è l’elemento sorpresa.

Durante lo spettacolo si possono cogliere annotazioni solo apparentemente secondarie. Perché, aldilà del mondo distopico che appare in scena, tutto quanto si vede in R.A.M. ha un valore nel mondo di oggi. Come dire che è più facile confidarsi con chi non ci conosce, che si ricordano le sorprese, che certi interventi sono irreversibili. Ma alla fine ad avere rilievo è Oliver, che le ricorda di averla sostenuta e protetta. E lui resta. C’è un biglietto di carta, che oltre a rappresentare un ponte con il passato, ha un valore elevatissimo. Perché la carta è ormai introvabile in un mondo dove la comunicazione non è più attraverso la scrittura. Fondamento di tutta la storia è il rilievo dei ricordi, che formano le esperienze, senza le quali diventa difficile vivere. Anche pericoloso, perché se cancelliamo la memoria degli eventi più drammatici e distruttivi, diventa più facile ripeterli e accettarli. Logico a questo punto pensare al Giorno della Memoria e al suo significato.

Alla fine è inevitabile pensare che si può creare un mondo, inventare un vocabolario, immergerlo in una ambientazione carica di effetti, dove si trovano anche oggetti di rilievo tecnologico (attorno agli occhiali per la realtà aumentata si sta lavorando da tempo). Ma tutto è poi risultato di esperienze passate, di ricordi. E si possono immaginare dei costumi avveniristici, ma l’influenza di 2001 Odissea nello spazio si intuisce. La forza del ricordo, dell’esperienza, appunto.

Dalla scrittura di Edoardo Erba e la regia di Michele Mangini con R.A.M. è nato questo mondo che inquieta e questo spettacolo che affascina. Riflessioni assicurate.

R.A.M.

di Edoardo Erba

regia Michele Mangini

con Marina Rocco, Alberto Onofrietti, Gianna Coletti, Giovanni Battista Storti e Irene Vetere

e in video Angelo Curti, Adriano Falivene e Marco Montecatino

scene e costumi Michele Iodice

luci Pasquale Mari, video Alessandro Papa, assistente alla regia Luca De Lorenzo, assistente scene e costumi Giorgia Lauro

produzione Teatro Franco Parenti / Goldenart

a Milano, Teatro Franco Parenti (Sala Grande) dal 21 al 30 giugno 2022 (prima nazionale)